DUNK! Ghana

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“Ciao, ho sentito parlare della tua associazione, vorrei fare la volontaria presso di voi, è possibile?”

Con il bianco SUV guidato dall’autista giriamo nella strada sterrata che porta alla sede dell’associazione… “dovrebbe essere li, dov’è il campo da basket” nel mezzo della terra rossa polverosa. Il campetto è esposto agli agenti atmosferici, il sole cocente crepa il cemento, ricordando il volto vissuto di una donna anziana.

L’autista mi scorta quasi come una body guard. Questo non è un buon quartiere mi aveva detto, è sicura che vuole andare? È la slum musulmana, non si deve fidare, sono noti per essere dei delinquenti!

Sotto l’albero di mango dei bambini stanno facendo un girotondo, una piccolina mi prende per mano e vuole che giochi con loro.

Mentre mi intrattengo con i bambini, dalle baracche sul fondo compare un giovane, sembra un gigante, circondato da un’aura di luce. Con un sorriso sincero mi fa cenno di avvicinarmi.

“Ho parlato con te a telefono?”

“Si si, accomodati pure.”

Entriamo in un piccolo stanzino, abbastanza buio, e ci sediamo alla scrivania. Come spesso accade in Ghana, è mancata la corrente, il ventilatore non va… Una scaffalatura piena di scarpe da ginnastica di tutte le taglie, più o meno consumate, alle mie spalle, una serie di coppe nascoste su uno scaffale in alto nell’angolo sinistro.

“Quali sono le tue competenze?”

“Ho fatto la volontaria con i ragazzi e bambini per molti anni, negli ospedali e come allenatrice di basket”

“ah, alleni? bene! Puoi venire a fare una prova sabato con la squadra femminile”

“Una prova?” pensai tra me e me…”ma sta facendo seriamente?”

Poi aggiunsi: “inoltre mi piacerebbe fare ripetizione di matematica e scienze, fare attività culturali e…”

“iniziamo con l’allenamento sabato, poi costruiremo su quello”

Un po’ basita dalla compostezza ed ermeticità del mio interlocutore, ritorno all’auto con un entusiasmo molto più contenuto ma anche più incuriosita.

Trascorrendo la maggior parte del mio tempo in giro per il mondo, mi sono fatta un’opinione, forse sbagliata, sulla presunzione di superiorità, intrinseca della maggior parte degli europei.  Si percepisce un po’ di arroganza quando ci si interfaccia con altre culture, come se fossimo sempre noi quelli chiamati ad insegnare e la controparte non abbia che da imparare. Per me era scontato che io fossi in grado di allenare con facilità le ragazzine della comunità…ma sono stata piacevolmente smentita.

Il sabato pomeriggio scappo dal lavoro ed arrivo al campetto popolato da bambini, gioiosi ragazzini giocano scalzi o con le ciabatte, ragazzine smunte vendono acqua o piccoli snacks a bordo del campo. I giocatori di calcio si sfidano negli spazi circostanti, aggressivi, a torso nudo, non esitano a travolgerti se stanno correndo per segnare.

Ed ecco che incontro la mia nuova squadra, sono emozionata.

Ragazzine non molto alte, ad eccezione di una, si avvicinano timidamente al campo dove vengo introdotta come “coach ospite” che condurrà una lezione speciale di approfondimento… con molta disinvoltura e un po’ di difficoltà di comunicazione, dato il mio accento, inizio a gestire il riscaldamento:  “Due file, dai e vai, Iniziamo con i lay-up”

Dopo pochi minuti resto abbastanza basita: rapide, scattanti, buona tecnica di tiro…devo alzare nettamente il livello degli esercizi che mi ero prefissata. Sono ubbidienti ed affiatate, un piacere allenarle. Mi hanno accolto senza pregiudizio, senza paura, senza indifferenza.  Appena finita la sessione femminile, l’under 14 si prepara per una partita, ma prima di iniziare, i giocatori si uniscono in cerchio e pregano insieme, un’emozione profonda. Nella slum non vivono solo musulmani (la maggioranza) ma anche cristiani e cattolici, ed in un periodo in cui non si sente che parlare di terrorismo e paura del diverso, questi piccoli ometti danno una lezione di vita a tutti noi. Non importa se si chiami Dio o Allah, l’importante è che protegga loro ed i loro amici. Mentre guardo la partita si avvicina Moh: “sei molto a tuo agio con le ragazze, ti piacerebbe venire anche la prossima settimana?” “Forse perché soffro della sindrome di Peter Pan…Certo! Non vedo l’ora”.

Festina Lente

 

 


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