2023, Batti il 5 x 1000

Al via il nuovo progetto triennale Step-up in collaborazione con DUNK-grassroots https://www.dunkgrassroots.org/ e cofinanziato con l’Otto per Mille della Chiesa Valdese https://www.ottopermillevaldese.org/
Il progetto ha lo scopo di avviare una cooperativa gestita da ragazze madri e giovani a rischio. A corollario del nostro tradizionale corso di cucito, vi saranno corsi di matematica, inglese, management ed ICT. Corsi di personal development saranno estesi ai giovani della comunità, sia uomini che donne per un approccio “he for she”.
Non sarà tralasciata la cura e l’educazione dei figli delle partecipanti al progetto, infatti potranno lasciare in luoghi sicuri i loro bambini durante l’apprendimento e la pratica per passare gli esami intercorso.
Cari amici, nel 2021 ci apprestiamo ad erogare il terzo corso per ragazze madri nella comunità di Jamestown, inclusivo di supporto scolastico per i loro bambini.
Inoltre con le giovani diplomate stiamo pianificando di aprire un piccolo negozio affinché possano avere una propria attività.
Chi vuole essere parte del nostro sogno, di rendere le ragazze a rischio indipendenti e sicure di sè, può organizzare eventi di raccolta fondi, donare sul nostro conto corrente e devolvere il proprio 5 per mille.
Grazie per Credere in noi,
Sew Your Future APS
IBAN: IT86Y0306909606100000170368
5 per mille: 96036510632
Quando si vive in paesi diversi dalla propria patria, si prova una specie di squarcio interiore, all’altezza dell’ombelico …Ci si sente come un albero con le radici piantate nella terra che non ti permetto di muoverti ed i rami che protendono verso il cielo. Si prova una sensazione strana, quando si parte c’è un vuoto compensato dall’entusiasmo e dal diverso…quando si torna ci si sente intontiti…come se si fosse persa un po’ la memoria perché non ci si riconosce in ciò che è fisso nella mente…gli affetti sono immutati ma alcuni comportamenti sono incomprensibili, eppure sono sempre gli stessi…cambiano gli occhi anche se non cambia il cuore.
Fare il volontario è complesso. Le intenzioni dietro tale slancio verso il prossimo sono solitamente positive ma quanto si intraprende tale scelta totalmente per l’altro e non anche per se stessi? Forse per colmare dei vuoti, dei sensi di colpa, per sentirsi voluti, stimati. E’ così difficile trovarsi di fronte ad una persona e non giudicarla. Vogliamo dare al bisognoso ciò che a noi rende felici perchè crediamo che siano le stesse necessità e desideri a soddisfare gli altri…ma non è così. Facendo il volontario si raggiunge la forma più pura di amore, quello scevro da giudizi ed aspettative, si supporta l’altro per come è e non ci si meraviglia se non si ha nulla in cambio, non si pensa neanche a tale possibilità.
Ci vuole il giusto vento per issare le vele…nel mondo occidentale siamo abituati a dettare i tempi, a pianificare le vacanze, gli incontri, la durata di un caffè al bar con gli amici…la mania del controllo si espande ed impossessa dei sentimenti, del presente e del futuro…il sailing insegna questo…a lasciarsi un pò andare ai voleri del mare, enormemente più grande di noi. Non abbiamo potere sul mare, dobbiamo solo attendere la propizia combinazione di venti e maree…dobbiamo essere pronti ed aspettare.
“Tu chiedi, al massimo ti dicono di no”… “Tira, al massimo sbagli”… Più o meno lo stesso concetto espresso in maniera concisa e diretta da due uomini diversi ma molto passionali nel loro lavoro. Un professore universitario, un allenatore di basket. Praticamente, non aver paura, osa, l’errore è parte della crescita…senza rischio, senza mettersi in gioco, non vi è l’ombra del dubbio, elemento chiave per il ragionamento e la saggezza.
“Ciao, ho sentito parlare della tua associazione, vorrei fare la volontaria presso di voi, è possibile?”
Con il bianco SUV guidato dall’autista giriamo nella strada sterrata che porta alla sede dell’associazione… “dovrebbe essere li, dov’è il campo da basket” nel mezzo della terra rossa polverosa. Il campetto è esposto agli agenti atmosferici, il sole cocente crepa il cemento, ricordando il volto vissuto di una donna anziana.
L’autista mi scorta quasi come una body guard. Questo non è un buon quartiere mi aveva detto, è sicura che vuole andare? È la slum musulmana, non si deve fidare, sono noti per essere dei delinquenti!
Sotto l’albero di mango dei bambini stanno facendo un girotondo, una piccolina mi prende per mano e vuole che giochi con loro.
Mentre mi intrattengo con i bambini, dalle baracche sul fondo compare un giovane, sembra un gigante, circondato da un’aura di luce. Con un sorriso sincero mi fa cenno di avvicinarmi.
“Ho parlato con te a telefono?”
“Si si, accomodati pure.”
Entriamo in un piccolo stanzino, abbastanza buio, e ci sediamo alla scrivania. Come spesso accade in Ghana, è mancata la corrente, il ventilatore non va… Una scaffalatura piena di scarpe da ginnastica di tutte le taglie, più o meno consumate, alle mie spalle, una serie di coppe nascoste su uno scaffale in alto nell’angolo sinistro.
“Quali sono le tue competenze?”
“Ho fatto la volontaria con i ragazzi e bambini per molti anni, negli ospedali e come allenatrice di basket”
“ah, alleni? bene! Puoi venire a fare una prova sabato con la squadra femminile”
“Una prova?” pensai tra me e me…”ma sta facendo seriamente?”
Poi aggiunsi: “inoltre mi piacerebbe fare ripetizione di matematica e scienze, fare attività culturali e…”
“iniziamo con l’allenamento sabato, poi costruiremo su quello”
Un po’ basita dalla compostezza ed ermeticità del mio interlocutore, ritorno all’auto con un entusiasmo molto più contenuto ma anche più incuriosita.
Trascorrendo la maggior parte del mio tempo in giro per il mondo, mi sono fatta un’opinione, forse sbagliata, sulla presunzione di superiorità, intrinseca della maggior parte degli europei. Si percepisce un po’ di arroganza quando ci si interfaccia con altre culture, come se fossimo sempre noi quelli chiamati ad insegnare e la controparte non abbia che da imparare. Per me era scontato che io fossi in grado di allenare con facilità le ragazzine della comunità…ma sono stata piacevolmente smentita.
Il sabato pomeriggio scappo dal lavoro ed arrivo al campetto popolato da bambini, gioiosi ragazzini giocano scalzi o con le ciabatte, ragazzine smunte vendono acqua o piccoli snacks a bordo del campo. I giocatori di calcio si sfidano negli spazi circostanti, aggressivi, a torso nudo, non esitano a travolgerti se stanno correndo per segnare.
Ed ecco che incontro la mia nuova squadra, sono emozionata.
Ragazzine non molto alte, ad eccezione di una, si avvicinano timidamente al campo dove vengo introdotta come “coach ospite” che condurrà una lezione speciale di approfondimento… con molta disinvoltura e un po’ di difficoltà di comunicazione, dato il mio accento, inizio a gestire il riscaldamento: “Due file, dai e vai, Iniziamo con i lay-up”
Dopo pochi minuti resto abbastanza basita: rapide, scattanti, buona tecnica di tiro…devo alzare nettamente il livello degli esercizi che mi ero prefissata. Sono ubbidienti ed affiatate, un piacere allenarle. Mi hanno accolto senza pregiudizio, senza paura, senza indifferenza. Appena finita la sessione femminile, l’under 14 si prepara per una partita, ma prima di iniziare, i giocatori si uniscono in cerchio e pregano insieme, un’emozione profonda. Nella slum non vivono solo musulmani (la maggioranza) ma anche cristiani e cattolici, ed in un periodo in cui non si sente che parlare di terrorismo e paura del diverso, questi piccoli ometti danno una lezione di vita a tutti noi. Non importa se si chiami Dio o Allah, l’importante è che protegga loro ed i loro amici. Mentre guardo la partita si avvicina Moh: “sei molto a tuo agio con le ragazze, ti piacerebbe venire anche la prossima settimana?” “Forse perché soffro della sindrome di Peter Pan…Certo! Non vedo l’ora”.
Festina Lente
La timida moglie della nostra guida Jose ci accoglie con un dolce sorriso, porgendoci, in segno di benvenuto, una bianca forma di formaggio, appena preparata con il latte delle sue vacche. La casetta è fiabesca e trasmette un senso di pace, grazie anche al lento scorrere del fiume, ad un paio di metri dalla veranda. Linda ci racconta che era normale in passato attraversare il fiume, e quindi il confine, per cenare tra amici; ora non si può, perché se la polizia di frontiera vede qualche imbarcazione che si avventura di notte sulle calme acque del Rio Grande, spara sui naviganti per “combattere l’immigrazione clandestina”.
Jose attende che tutti vadano nelle proprie stanze per poi chiamare me e la mia amica. A lume di candela ci mostra il suo tesoro: apre una scatoletta di legno intarsiata ed inizia ad estrarre delle piccole lame. Sono le punte delle lance usate per la caccia dai nativi d’America, ritrovate nei dintorni. Non so perché avesse voluto condividere la cosa per lui più preziosa, ma è straordinario pensare quanto agli esseri umani talvolta non serva comunicare verbalmente per trasmettere emozioni e soprattutto per comprendere la genuinità di un individuo.
Dopo un profondo riposo, all’alba intraprendiamo la giornata più intensa per raggiungere il paesino di San Carlos. Il Deserto del Chihuahua non è sabbioso come quello africano, ricorda un fondale marino, con la principale differenza che le piante hanno delle spine spesse e lunghe che possono causare profonde ferite se i cavalli passano troppo vicino ad esse. Al tramonto, con la luna piena che fa capolino tra le mesas all’orizzonte, raggiungiamo l’agognata meta alla vigilia di “Tutti i Santi”. Sorprendentemente il lungo viaggio sotto il sole evanescente non mi ha affaticata, il lento avanzare di Cioccolata quasi mi dondolava, concedendomi di rilassarmi e cullarmi tra i miei pensieri. Durante il percorso il silenzio aveva dominato, non perché vi fossero tensioni od antipatie, ma perché la vastità del deserto ti fa sentire quasi inesistente, nonostante la presenza dei compagni di viaggio. Alle porte di San Carlos, nel mezzo del nulla, ci accoglie Gloria, che ha trasformato la casa dell’ex marito in B&B, a mio parere il meno frequentato nella storia alberghiera del Messico. La padrona di casa ha gli occhi spiritati ed è un ibrido tra un cartone animato ed una cartomante, ci sfama con deliziosi burritos intrattenendoci con racconti inverosimili. Interrotto il noioso monologo un po’ bruscamente, iniziamo ad esplorare la cittadina.
San Carlos si erge ai piedi di un altopiano nel quale è incastonato un ruscelletto dall’acqua cristallina; alla sommità vi è una miniera di argento abbandonata che l’aveva resa molto ricca e vivace nel recente passato. In ogni strada vi sono addobbi per la celebrazione del giorno dei morti. Uomini sulla cinquantina sono accompagnati dalle giovani mogli minorenni (spesso del secondo o terzo matrimonio), le famose quinseañera (quindicenni). Spesso tradite e maltrattate, le donne devono essere ben curate e servizievoli e quando l’effimera bellezza svanisce, un’altra ragazzina avrà festeggiato la sua condanna dei quindici anni.
Continuando a vagare per il paesino, ci ritroviamo in una piccola piazza abbellita da una chiesetta sullo sfondo. Entrati nel buio luogo di preghiera, ci avviciniamo ai candelabri, unica fonte di luce, ed una frase di San Carlo Borromeo conquista il mio cuore: “per illuminare gli altri, la candela deve consumarsi”…non possiamo essere di esempio e supporto senza sacrifici e senza impegnarci con costanza, dedizione e determinazione, ma soprattutto dobbiamo essere generosi.
Sul retro della chiesetta, si estende un vasto cimitero dove alcune donne piangono, sbraitano o litigano sulla tomba del marito come se in quel momento il suo corpo e la sua anima fossero resuscitati. Alcune imbandiscono una piccola tavola, altre agghindano la tomba con ghirlande sgargianti…religione e superstizione si intersecano in un intricato dedalo, rasentando talvolta il grottesco.
Ed ecco che la nostra passeggiata si conclude nel centro dei festeggiamenti: “la guerra dei galli”. Mentre i roosters, dal valore di almeno 1000 dollari l’uno, a due alla volta si battono fino alla morte su un ring protetto da un’alta gabbia, si moltiplicano le scommesse clandestine in presenza della polizia e dei bambini. La cittadina, così come la contea, sono considerate molto povere eppure gli uomini indossano stivaletti e cinture di pitone scommettendo 500 dollari ad incontro. Linda ci spiega che ci troviamo su una delle principali arterie del contrabbando della cocaina con gli Stati Uniti e che solo la settimana precedente, 3 spacciatori erano stati ritrovati impiccati ad uno dei ponti che avevamo attraversato quella stessa mattina…Festina Lente