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Vivere in un paese diverso dalla propria patria consente di apprezzare le sfumature della nuova cultura, che da semplice turista non si riuscirebbero a percepire. Più di due anni trascorsi negli Stati Uniti hanno confermato quanto la nostra vita sia influenzata dalla super potenza americana: dalla politica all’economia, dal cinema alla tecnologia.
Nel contempo ho compreso che l’immaginario collettivo degli Usa è legato a poche città quali New York e San Francisco che in realtà sono le più liberali ed europeiste. Gli Stati Uniti sono estremamente variegati, un crogiuolo di culture, tradizioni, religioni, panorami che non è possibile definire univocamente.

La mia esperienza è incentrata a Houston, in Texas, secondo dei 50 Stati per estensione (più vasto della Francia), preceduto solo dall’Alaska. Stato di confine, separato dal Messico dal Rio Grande. Come tutte le terre di confine presenta profonde contraddizioni e al contempo il fascino generato dall’incontro di culture radicalmente diverse.
Nonostante sia noto per il petrolio, è lo Stato che ha investito di più in energie rinnovabili; famosa è la zona di Marfa dove per chilometri si ergono enormi pale eoliche. Si, enormi, tutto in Texas è gigante, dalle porzioni ai ristoranti, alle highway a sette corsie, alla popolazione che detiene il triste record del 30% di obesi. Il Texas, come gli altri stati del sud (quali Mississippi, Georgia, Alabama, Louisiana), fa parte della Bibble Belt, dove l’influenza della religione cristiana è molto forte, fino a sfiorare il bigottismo e a sfociare in una miriade di sette religiose, più o meno potenti, che purtroppo spesso distinguono i diversi gruppi razziali.
Gli Houstoniani sono molto gentili e pronti ad accoglierti con un sorriso e un “Houdy?” che nel gergo dei cowboy significa: “come stai?”. I texani sono molto orgogliosi della loro storia, delle guerre d’indipendenza contro il dominio spagnolo e messicano; Fort Alamo, nella piazza principale di San Antonio è, infatti, uno dei siti più visitati d’America.

Le bandiere del Texas sventolano ovunque e lo spirito combattivo e il nazionalismo sono sintetizzati da due frasi: “don’t mess with Texans” (non litigare con i texani) e la celeberrima “You may all go to hell, I will go to Texas” (potete tutti andare all’inferno, io andrò in Texas) pronunciata da David Crockett proprio durante la battaglia di Fort Alamo. Associato ad un’economia contadina e all’allevamento, il Texas è in realtà il motore finanziario degli Stati Uniti e Houston incarna appieno questo ruolo: è la quarta città d’America, molto prospera grazie all’industria petrolifera, alla Nasa e al più grande centro medico degli USA. Tale ventaglio di opportunità attrae giovani professionisti da tutto il mondo ed è facile incontrare persone che hanno vissuto in almeno tre differenti continenti. Questo mix la rende dinamica ed intrigante nonostante venga preservato uno stile di vita rilassato ed informale che consente di essere a proprio agio nelle più disparate situazioni. L’ordine e la schematicità americane sono però stemperate dalla massiccia presenza delle comunità messicana e sud americane che ne influenzano profondamente la cucina e la vita notturna.
Città giovane, nata poco più di cento anni fa dopo che un maremoto distrusse la comunità costiera di Galveston. Non è architettonicamente bella ma è molto verde date le piogge torrenziali che ogni tanto causano l’innalzamento del Bayou, un piccolo fiume lungo il quale si snoda la zona residenziale più lussuosa, l’Upper Kirby, con ville holliwoodiane e querce secolari. Guardando la mappa, Houston ha una forma di un bersaglio a tre cerchi concentrici. La vita economica e culturale è incentrata nella 610, un’enorme autostrada che contorna downtown, il quartiere residenziale di River Oak, la prestigiosa Rice University e il Museum District.

Per quanto sia morfologicamente piatto, il “Lone Star State” può riservare scenari mozzafiato, in particolare nella zona del Big Bend National Park dove si alternano montagne, canyon e mesas che al tramonto assumono gradazioni di colori meravigliose mentre, in primavera, fiori selvatici, dai colori vivacissimi, danno vita allo sterminato deserto che bisogna attraversare per raggiungerlo. In questa zona, dove fino a soli venti anni fa non era possibile mangiare gelati per assenza di corrente elettrica, si nascondono cittadine di poche migliaia di abitanti, persone che per scelta si sono rifugiate dalla stressante competizione e dal frenetico consumismo delle poche grandi città e si sono dedicate all’allevamento e all’arte.
Proprio qui, in questa zona di confine hanno avuto inizio le mie riflessioni…Festina Lente.